giovedì 18 aprile 2024

Dopo un viaggio lunghissimo...

...eccomi finalmente a Sumatra. Sarà che sto invecchiando, ma il viaggio mi sembra sempre più lungo e devastante, comincio a capire perché gli anziani volano in business class, a una certa età la schiena rifiuta i sedili della economy. Bei tempi quando saltavo giù dall'aereo ed ero già pronta a esplorare la giungla! Ora impiego due giorni a camminare dritta.

Tanto per non farci mancare nulla, Iran e Israele si tirano i missili e la rotta del mio volo Malpensa – Doha ci passa precisamente nel mezzo. Siamo una specie dominante indegna. Comunque, a parte la scomodità della classe povera, sono arrivata salva (sul “sana” la mia schiena non sarebbe d'accordo) prima a Doha e poi a Jakarta.

Erano le nove di sera quando sono scesa dall'aereo, puzzando come potete immaginare dopo quattordici ore di voli e tre di scalo, e non vedevo l'ora di andarmene in albergo a fare la doccia e dormire su un letto vero. Ma è risaputo: la calma è la virtù degli addetti al controllo passaporti. Per il visto turistico all'arrivo, ti scattano una foto orrenda, ti fanno inserire la tua mail su un tablet, ti chiedono 500 mila Rupie oppure 30 Euro – attenzione, solo contanti – e un minuto dopo ti arriva il visto via mail. Ero tutta contenta quando ho trovato meno di dieci persone in fila ed erano quasi le dieci quando sono andata a ritirare la mia valigia. Ma com'è possibile? Appunto per il prossimo viaggio: fare il visto online così passo direttamente i tornelli dell'immigrazione con la ricevuta del pagamento e scelgo una foto migliore. Ma non è ancora finita: dopo aver ritirato la valigia bisogna compilare la dichiarazione doganale. Si fa sul cellulare, inquadrando il QR code dei cartelloni appesi in giro per l'aeroporto e compilando due pagine di informazioni: nome, cognome e data di nascita, numero di passaporto, nazionalità, numero di volo d'arrivo, nome dell'albergo dove si alloggia, numero di bagagli stivati e infine lasciare su “no” tutte le caselle se non si ha nulla da dichiarare. A quel punto l'applicazione ti genera un altro QR code da passare sul lettore dell'addetto doganale e solo allora sei libero di uscire dall'aeroporto. Le dodici fatiche di Asterix praticamente.

Per fortuna, l'Orchardz Hotel dista solo dieci minuti dal terminal, ma ormai avevo perso la navetta gratuita che passa ogni ora e non avevo voglia di aspettare la successiva, quindi ho preso un taxi e poco dopo ero sotto la doccia. Ero già stata inn questo hotel l'anno scorso ed è ottimo per riprendersi perché ha i letti comodissimi e la stanza ha tutti i comfort possibili. Bella riposata, stamattina, ho preso la navetta per il terminal dei voli locali e lì mi sono accorta che tutti, dalla signorina del check-in all'usciere del gate, erano sorpresi che una straniera andasse a Bandar Lampung anziché a Bali. In effetti, la maggior parte dei turisti pensa che l'Indonesia sia solo Bali. Per carità, è un'isola stupenda e accogliente, io la adoro come una seconda Cattolica, ma l'Indonesia è molto, molto, molto, molto più di Bali.

Il volo per Bandar Lampung è così breve che tra allacciatevi le cinture per il decollo e prepararsi all'atterraggio le hostess fanno appena in tempo a completare il teatrino sulle norme di sicurezza. Mi piace vedere le hostess indicare le uscite d'emergenza e indossare il giubbotto salvagente, sui grandi voli internazionali non lo fanno più perché ci sono i video.

il fruttino
All'uscita dell'aeroporto mi aspettava Hari insieme a Warno, l'autista dell'Ecolodge. Gli ho raccontato di quanto fossero stupiti a Jakarta nel vedermi partire per Lampung e lui si è messo a ridere. -Infatti- ha detto -per me è facile riconoscere i clienti quando vengo a prenderli: sono gli unici stranieri su ogni volo. Qui ci sono solo due zone turistiche: il Way Kambas e una spiaggia per surfisti. Quindi se non hanno la tavola da surf sono i miei.- 

Tra chiacchiere e una fermata per comprare dei frutti a una bancarella, le due ore fino al Way Kambas sono volate. Hari mi ha regalato un sacchetto di questi frutti che sembrano piccole patate, ma dentro sono a spicchi trasparenti e sanno di pompelmo dolce. Dan mi aveva anticipato che questa è la stagione della frutta e ne farò scorpacciate nei prossimi giorni.

Il manager del Satwa lodge mi ha accolta come sempre con tante riverenze, ormai sono un'ospite fissa e ha già dato istruzioni in cucina per le mie colazioni e cene vegane. Solo rivedere questo giardino lussureggiante mi ha fatto dimenticare il lungo viaggio per arrivare. Fa così caldo che sul rubinetto della doccia è indicato a destra acqua calda, a sinistra acqua normale perché fredda non esiste! 

Ma anche se ci sono 33 gradi e il duemila percento di umidità, anche se sono previsti temporali per tutti la durata del mio soggiorno: sono felice di essere tornata qui. Sono sempre felice di tornare qui perché in una vita precedente probabilmente ero un albero, non importa quanti anelli conta adesso il mio vecchio tronco.

in auto con Hari




domenica 7 aprile 2024

Quanto mi piace fare la valigia!

Per molti viaggiatori, preparare i bagagli è una scocciatura. Per me, invece, è l'eccitante momento in cui il viaggio comincia, la partenza è imminente e quello che per mesi è stato un progetto diventa finalmente realtà.

Mi immagino già alla meta per decidere cosa portare, in funzione del clima, dell'ambiente, delle attività che farò. Farò escursioni nella foresta? Camicia di cotone a maniche lunghe, pantaloni lunghi leggeri e scarpe da trekking (quindi calze sportive). Passeggerò per il mercato di Ubud? Abito leggero, sandali comodi e sacchetto di tela per gli acquisti. Andrò in spiaggia? Costume, pareo e canottiera. Potrebbe piovere? Giacca impermeabile, cappellino con visiera. Ci sarà vento? Coprispalle e foulard, felpa se la sera fa freddo. Scelgo gli indumenti che mi serviranno e li dispongo tutti sul letto, per farmi un'idea della quantità e dello spazio che occupano, così trovo sempre qualcosa di non necessario da eliminare prima di riporli nella valigia. Un cambio d'abiti completo andrà nel bagaglio a mano, per stare tranquilla in caso di ritardo o smarrimento della borsa in stiva. In ogni caso, cerco di lasciare più spazio libero possibile per quello che comprerò (o riceverò in regalo,, come le enormi coperte masai di Peris!)

Penso a una giornata tipo che comincia in bagno, quindi metto da parte saponetta, spazzolino e dentifricio. In genre, gli asciugamani sono disponibili in qualsiasi alloggio, ma uno in microfibra che occupa poco spazio, lo porto sempre per sicurezza. Poi spazzola, shampoo, deodorante e le cose piccole come forbicine, pinzette, tagliaunghie, cotton fioc, qualche trucco e, per me che sono cieca, lenti a contatto. 

Non porto molti medicinali, giusto un antidolorifico e tachipirina, a meno che non servano particolari profilassi come l'antimalarica, ma ricordo sempre di aggiungere cerotti e disinfettante, il repellente per insetti, la crema protezione solare e quella doposole. Inoltre, se sono in periodo, una bella scorta di assorbenti.

Nel bagaglio a mano, metto gli oggetti fragili come la macchina fotografica, il cellulare, il laptop, il kindle con relativi caricabatterie, occhiali da sole e, naturalmente tutti i documenti di viaggio, oltre al già citato cambio d'abiti d'emergenza. Metto tutto in ordine per avere a portata di mano le cose che mi serviranno più spesso senza dover frugare sul fondo dello zaino se in aereo mi viene voglia di leggere o ascoltare musica.

Non faccio mai una lista scritta, ma ormai ho la mia lista mentale stilata dall'esperienza che mi ha insegnato di cosa ho davvero bisogno, cosa mi è mancato qualche volta e cosa è stato peso inutile. Nei giorni precedenti la partenza, se mi viene in mente qualche oggetto da non dimenticare, lo metto subito da parte sul ripieno dell'armadio che ho dedicato agli accessori da viaggio.

Sono emozionata perché si avvicina "il giorno della valigia" di quest'anno, però non ditelo a Bio perché non ama essere lasciato alle cure degli zii. Non certo per colpa loro che sono affidabili e adorabili, ma perché io, ne sono consapevole, lo vizio tantissimo. Fai il bravo micetto, mentre sono via, mi raccomando!




sabato 16 marzo 2024

Assortimento di sventure

Dopo i luoghi peggiori in cui ho dormito, ecco un elenco delle disavventure che mi sono capitate in giro per il mondo. Alcune sono attribuibili alla sfortuna, altre me le sono più o meno cercate, altre erano disgrazie prevedibili perché viaggiando in povertà spesso la sicurezza è una scommessa. 

Disavventure mediche

Un dente del giudizio ha pensato bene di fare la sua comparsa mentre ero in Thailandia nel 2010, proprio all'inizio di un viaggio di quattro mesi lontanissima da casa. Mi faceva tanto male che faticavo ad aprire la mascella per mangiare e tutti sapete quanto io ami mangiare. Era una tortura: riuscivo ad aprire la bocca di appena un centimetro per infilarci dentro il cibo a forza. Alla fine sono andata in farmacia dove mi hanno venduto degli antidolorifici in pillole sfuse che mi hanno fatto superare la settimana (ho poi tolto il dente una volta tornata a casa e, per la cronaca, non me ne sono mai spuntati altri.)

Lo stesso anno, io e il TdC stavamo salutando la splendida Bali esplorata in motorino per spostarci in Australia. Il giorno del volo Denpasar - Perth abbiamo lasciato la nostra stanza a Ubud e, carichi di bagagli, ci siamo diretti alla fermata dell'autobus per l'aeroporto. Avevo lo zaino grande sulla schiena e quello piccolo davanti, quindi non vedevo dove mettevo i piedi. I marciapiedi di Bali sono altissimi perché sotto passano i canali di scolo, indispensabili durante le abbondanti piogge, e la manutenzione non è delle migliori, ma è stata la mia imprudenza di camminare alla cieca a farmi mettere un piede in fallo e sono caduta stortandomi la caviglia destra. Me ne stavo per terra con un dolore tremendo e il TdC che mi sgridava: "Ma non hai visto il buco??" Per nulla al mondo, comunque, avrei perso l'aereo, quindi, usando l'ombrellino comprato al lago Toba come stampella, mi sono rimessa in piedi e siamo arrivati in aeroporto. Lì ho preso del ghiaccio da un bar e l'ho tenuto sulla caviglia fino alla partenza. Il TdC spingeva il carrello con i bagagli e io lo seguivo reggendomi sull'ombrellino, corto come il bastone da passeggio di Frankenstein Jr. Arrivati a Perth, visto che riuscivo ad appoggiare il piede e dunque non avevo fratture, ho tirato avanti con pomata antinfiammatoria e antidolorifici fino a guarigione completa.

Sempre in Australia, ad Adelaide per la precisione, sono stata costretta a ricorrere al pronto soccorso. Ci siamo fermati in questa graziosa cittadina dopo aver esplorato per dieci giorni la costa ovest e saremmo rimasti il tempo di fare il bucato prima di partire per Kangaroo Island. Da un po' avvertivo dolori addominali e un pomeriggio, mentre passeggiavamo per il delizioso centro città, sono diventati così forti che non potevo camminare eretta. Così il TdC mi ha portata in pronto soccorso. Immaginatemi all'accettazione: piegata in due dal dolore davanti a un'infermiera che mi faceva domande con l'accento australiano che mi era incomprensibile anche da lucida. È stata costretta a uscire dal banco e farsi capire a gesti, mimando: "Il dolore sembra più un pugno o una coltellata?" Non so bene come, le ho dato le informazioni sul mio stato e ho anche chiesto se dovessi contattare l'assicurazione prima di farmi visitare, ero preoccupata di trovarmi un conto di migliaia di Euro. Mi ha rassicurata che, grazie agli accordi internazionali, in Australia avevo diritto alle stesse cure mediche gratuite che avrei avuto in Italia. Mi ha accompagnata in reparto dove un giovane medico di origine asiatica mi ha fatto altre domande e un esame delle urine istantaneo. Intanto il TdC aspettava ansioso in sala d'attesa dopo avermi vista sparire dietro una porta da oltre un'ora. Il medico giovane, tornando con i risultati del test, mi dice che ho un'infezione, mi prescrive antibiotico per una settimana e mi dimette dopo avermi somministrato un antidolorifico. Ormai ne avevo provati in ogni nazione. La cosa bella e sbalorditiva è che una settimana dopo, mentre eravamo a Melbourne dalla cara Erin, il pronto soccorso di Adelaide mi ha telefonato per sapere se l'antibiotico avesse funzionato e se avessi bisogno di altro. Che servizio meraviglioso!

Curiosità: un mese dopo, mio fratello ha dovuto portare il Berna nello stesso pronto soccorso perché aveva la schiena bloccata.

Disavventure con l'acqua

Sudata, infangata, accaldata, sfinita da una giornata di trekking durissimo nella giungla del Gunung Leuser National Park nel nord di Sumatra, ho raggiunto la riva del fiume al tramonto. Con me c'erano il TdC, la guida Mbra con un assistente, l'irlandese Paul e il californiano John. Avevamo lottato con sentieri impervi, alberi crollati, scivolate nel fango e arrampicate sulla roccia tutto il giorno in una foresta fitta e meravigliosa che valeva ogni fatica. Sull'altra sponda del fiume, ci aspettava uno scoppiettante falò con la cena e un riparo per la notte, ma restava da attraversare il fiume. Mbra ha caricato i nostri zaini e scarponi su una grande camera d'aria legata a una fune, ci è salito e si è fatto trainare fino alla spiaggia. Mi aveva chiesto se volessi andare con lui, ma stupidamente ho preferito optare per la nuotata pensando di ripulirmi da fango e sudore. Col senno di poi, avrei potuto comodamente lavarmi una volta arrivata a destinazione, ma sul momento, sragionavo per la stanchezza e volevo attraversare a nuoto come tutti gli altri. L'assistente di Mbra ci aveva avvisati che, seppure in quel punto l'acqua non era profonda, la corrente era molto forte, quindi bisognava tuffarsi il più possibile a monte della spiaggia. Il TdC, Paul e John ce l'hanno fatta senza problemi, io ero rimasta per ultima. Maledico ancora la mia imprudenza, non sono mai stata una sportiva e ne ero consapevole, ma a guardare gli altri non mi era sembrata una prova troppo impegnativa. Invece, un attimo dopo il tuffo, ho visto la spiaggia schizzare via davanti ai miei occhi. La corrente era tremendamente potente! Sul momento, però, non mi sono spaventata, ho solo pensato di aver fallito il tuffo. Mentre la corrente mi trascinava a valle, mi sono guardata intorno e ho visto un gruppo di rocce al centro del fiume, così mi sono girata con i piedi in avanti, ci sono andata contro e mi ci sono arrampicata facilmente. Il TdC era nel panico e tutti mi seguivano con sguardi preoccupati gridando istruzioni che non potevo sentire a quella distanza. Sulle rocce, ero stranamente tranquilla perché creavano una sorta di ponte fino alla riva e sapevo di poter saltare da una all'altra senza difficoltà. Ed è proprio ciò che ho fatto. Solo una volta atterrata sulla ghiaia della spiaggia mi sono resa conto del pericolo che avevo appena corso: oltre le rocce, il fiume correva impetuoso verso rapide e vortici. Quell'episodio mi ha insegnato a riconoscere i miei limiti, a dire di no se non mi sento all'altezza della prova e a non prendere decisioni affrettate quando sono stanca.

L'acqua è protagonista di un'altra peripezia, ma questa volta veniva dal cielo sotto forma di abbondantissima pioggia. Era il 2013 e, con il TdC, mi trovavo nel Borneo indonesiano. La stagione delle piogge non era ancora terminata, ma abbiamo sempre preferito viaggiare nei periodi meno turistici per evitare la folla e risparmiare un po'. Avevamo deciso di trascorrere due notti a campeggiare in tenda nella giungla con la guida Poncho, un ranger e un giovane assistente/cuoco. Ci siamo incamminati tra piante e animali bellissimi, però faceva molto caldo e l'umidità sotto la volta degli alberi era soffocante, così, quando ha cominciato a piovere, ne siamo stati felici perché ci avrebbe dato un po' di sollievo. Peccato che abbiamo ringraziato il cielo troppo presto: in pochi minuti, la pioggia leggera si è tramutata in un violento acquazzone e il sentiero si è subito allagato. Dal camminare siamo passati al nuotare in un metro e mezzo d'acqua ed eravamo così impegnati a raggiungere un luogo asciutto che non pensavamo a cosa ci fosse sotto la superficie del lago che aveva improvvisamente inondato il panorama in ogni direzione. Gli alberi spuntavano come isole e la pioggia riduceva la visibilità a pochi metri. Il TdC aiutava Poncho che era un ottimo conoscitore di flora e fauna, ma decisamente poco agile. Io, intanto, cercavo di star dietro al ranger e all'assistente che ci precedevano per portare le tende e il resto dell'attrezzatura da campeggio all'asciutto. Confesso che, malgrado il disagio e la fatica, trovavo la foresta allagata davvero affascinante, un paesaggio da film. Dopo un tempo che ci è parso infinito, finalmente abbiamo raggiunto la piattaforma dove montare la tenda per la notte e il buio è calato rapidamente. Per gran parte della notte ha continuato a piovere e uscire con le torce per fare pipì significava affrontare tutti gli insetti del creato, ma è stato stupendo pensare a dove ci trovavamo e ascoltare i suoni della natura e gli spiriti della foresta prima di addormentarci. Il giorno dopo è spuntato il sole e ci siamo rimessi in marcia con le scarpe ancora umide per continuare l'avventura.

Disavventure meccaniche

Come dicevo, viaggiare al risparmio ha i suoi svantaggi, come utilizzare mezzi vecchi e scassati che possono lasciarti a piedi nei momenti peggiori. 

Sono stata su treni e autobus che stentavo a credere mi avrebbero portata a destinazione senza andare in pezzi, ma mi hanno stupita e perfino il Wicked camper, pur consumando chili e chili d'olio, ha fatto il suo dovere fino a Port Douglas.

Nel 2016 ero in Kenya con le Cavallette, quando il nostro pulmino si è fermato in un punto imprecisato e sperduto del parco Aberdare. Eravamo gli unici visitatori quella mattina, il bellissimo Aberdare è meno conosciuto dei parchi solitamente inclusi nei tour organizzati e oltretutto era periodo di bassa stagione. Ci eravamo già inoltrati parecchio con Fred alla guida, seguendo gli elefanti che risalivano le splendide colline boscose, mentre la foschia del primo mattino si disperdeva rivelando un panorama da togliere il fiato. A un tratto il motore del van si è surriscaldato e siamo stati costretti a fermarci nel bel mezzo della riserva. Metà della nostra scorta d'acqua è stata usata per raffreddare il radiatore e Fred, che era responsabile di ben sei passeggere, era abbastanza nervoso perché eravamo ben lontani dall'ingresso e dai ranger che avrebbero potuto soccorrerci. Per fortuna, l'acqua è stata sufficiente a permetterci di ripartire e proseguire quel meraviglioso viaggio.

L'anno scorso, sempre in Kenya, con Fra & Fra, Peris e Junior alla guida abbiamo avuto una serie di incidenti: insabbiati al parco Samburu, impantanati sulla strada per Ol Pejeta e infine il van ha esalato l'ultimo respiro sulla via del ritorno a Nairobi con tanto di geyser di vapore esploso dal radiatore nell'abitacolo. Se per i primi due ci siamo fatti una risata, l'ultimo ci ha costretti ad abbandonare Junior e il van per rientrare in autobus, dopo aver atteso per ore a bordo strada. Era pure il mio compleanno.


Ci sarebbero tanti altri piccoli aneddoti da includere in questa lista, come quando un macaco ha rubato gli occhiali da vista al TdC e se non fosse stato per il provvidenziale intervento di un uomo che glieli ha fatti mollare scambiandoli con una banana, non avremmo saputo come tornare a Ubud visto che lui era cieco e io non so guidare il motorino. Viaggiare comporta sempre dei rischi, ma tutto sommato non mi sono mai trovata in situazioni tanto gravi da rovinare l'esperienza o scoraggiarmi dal partire di nuovo. Anzi, quando ne esci indenne, sono proprio le disavventure quelle che racconti più spesso agli amici.

domenica 3 marzo 2024

Cuccioli in pericolo

In attesa di rivedermi in aprile, i ragazzi di Alert mi tengono informata sulle giornate al Way Kambas. Le piogge sono arrivate anche se non sufficientemente abbondanti per impedire gli incendi. Nel frattempo, per non farsi mancare nulla, i bracconieri continuano a piazzare trappole e quando, durante i giri di pattuglia, Alert e i ranger le distruggono, quelli appiccano altri incendi. Sembra una battaglia infinita. Vi ho raccontato dei progetti per dare ai bracconieri una fonte di sussistenza legale in modo da salvare gli animali e assicurare un futuro alle loro famiglie in questo post, ma vi ho anche raccontato che alcuni continuano a preferire il facile e veloce guadagno del bracconaggio a un'attività lavorativa vera. Sono criminali senza speranza e senza pietà.

In una delle loro trappole è finito un cucciolo di elefante. Terrorizzato e ferito, l'elefantino si agitava peggiorando la morsa della trappola intorno alla caviglia. I miei ragazzi l'hanno trovato e, con grande fatica, liberato per poi portarlo in uno dei centri per elefanti del parco, dove i veterinari sperano di riuscire a salvargli la zampa. I video che mi hanno inviato, girati per testimoniare e denunciare il problema, mi hanno spezzato il cuore. Vi risparmio i filmati della liberazione e del trasporto, lunghi e dolorosi. Questo è il cucciolo all'elephant center.



Per fortuna, gli eroici ragazzi di Alert l'hanno trovato in tempo, ma ci vorranno molte settimane prima che la ferita guarisca e non è detto che il cucciolo recuperi l'uso della zampa. Per tutto il tempo dovrà restare confinato nell'elephant center per le cure. Immaginate quanta paura e  sofferenza stia patendo questo elefantino. Che razza di persona fa una cosa del genere?

Sono impaziente di tornare là a metà aprile e spero di poter incontrare questo sfortunato cucciolo per raccontarvi come sta.

Se vi state chiedendo come potete contribuire a combattere questa piaga, la riposta è molto semplice: non acquistate nulla che derivi dal commercio di animali selvatici o che contribuisca alla deforestazione, sostenete le associazioni che proteggono la fauna e l'ambiente. Potete fare una donazione ad Alert attraverso il loro sito https://alertindonesia.org/  o, per i più avventurosi, venire a Sumatra a dare una mano di persona. Anche trascorrere le vacanze qui e comprare prodotti dai produttori locali può aiutare la comunità a sostenersi con il turismo e a considerare il parco e gli animali come una risorsa da difendere, non da sfruttare.



martedì 6 febbraio 2024

Ho dormito in posti che voi umani...

In questo blog, vi ripeto sempre quanto sia bello viaggiare, ma avete anche letto delle inevitabili disavventure che capitano quando si esce di casa, fanno parte dell'esperienza. Oggi, invece che descrivervi le meraviglie del pianeta, vi parlo dei luoghi peggiori in cui ho dormito.

Medan 2010
Durante il viaggione del 2010, alla fine del meraviglioso periodo a Sumatra, io e il TdC siamo stati costretti a trascorrere una notte a Medan in attesa dell'aereo per Bali. A quel tempo ci affidavamo ancora alla Lonely Planet e credo che proprio quella notte ci abbia convinto ad abbandonare i consigli delle guide turistiche. Non ricordo nemmeno il nome dell'albergo, credo di averlo rimosso come un trauma e non ho neanche avuto il coraggio di fotografarlo. La stanza che avevamo prenotato via mail era in realtà uno sgabuzzino senza finestre in un sottoscala, male illuminata (direi, per fortuna) da una lampadina pendente dal filo sul soffitto basso. Puzzava di muffa e non abbiamo osato disfare il letto, mettendoci sopra i nostri sacchi lenzuolo, unica volta nella storia in cui abbiamo dovuto usarli. Il pavimento era in cemento grezzo e le pareti luride. La cosa peggiore, però, era il bagno, mi viene ancora la nausea a pensarci: non solo era sporco, con i rubinetti arrugginiti e una doccia in cui ci siamo rifiutati di entrare, ma c'erano delle mutande sconosciute appese a un gancio accanto al lavandino! Inorriditi, siamo usciti a cercare un altro alloggio in città, ma tra ragni giganti sui muri e altre amenità, ci siamo resi conto che lo standard purtroppo era quello e ci siamo arresi a trascorrere la notte nel sottoscala. Ovviamente, non abbiamo chiuso occhio e la tv a tutto volume della reception dietro la parete non aiutava. Siamo fuggiti all'alba!

Motel Cowboy 2014
Per il primo viaggio delle Cavallette, la missione era incontrare le balene a Guerrero Negro, nella bassa California del sud. Unica sistemazione nel nostro budget tra le poche disponibili era questo Motel Cowboy che, se non altro, si trovava proprio di fronte al ritrovo per le escursioni in barca. Il cortile era un cantiere a cielo aperto e di sicuro una ristrutturazione era necessaria e urgente. Come l'intera struttura, anche la camera era rimasta agli anni Cinquanta e non veniva pulita dagli anni Cinquanta a giudicare dalle macchie sul divano fiorato dove quasi non volevamo appoggiare nemmeno le valigie. Lo stato di abbandono era tale che l'ultima sera, quando abbiamo chiesto a chi lasciare la chiave visto che saremmo partite all'alba, il proprietario ha alzato le spalle: - Buttatela pure dentro la finestra, la troveremo.- Seguro!

Wicked Camper 2010
L'ultima parte del viaggione 2010 si è svolta in Australia, quando il TdC è tornato in Italia mi hanno raggiunto Sté e il Berna e abbiamo noleggiato un camper per risalire la costa est fino a Port Douglas. Siccome siamo sempre stati poveri, abbiamo optato per la compagnia Wicked Camper che altro non è che un noleggio di vecchi furgoni Volkswagen degli anni Sessanta con le fiancate serigrafate e un materasso nel retro. Ci siamo dovuti comprare una trapunta per le fredde notti dell'autunno australe - che abbiamo abbandonato nel camper alla restituzione per non dovercela portare in giro nel resto del viaggio - e anche una lampada con magnete da attaccare al soffitto che ci siamo dimenticati di riprendere, ma la spesa maggiore è stata l'olio motore, quel catorcio ne consumava un chilo al giorno. I campeggi australiani sono bellissimi e il nostro era il mezzo più brutto e scassato a ogni tappa, ci guardavano tutti ridendo. Il disagio maggiore era dormire in tre su quel materasso: io contro la fiancata, il Berna contro il portellone sull'altro lato e mio fratello in mezzo allargato a stella marina bello comodo. Ma eravamo giovani e la bellezza dei paesaggi (che stellata ad Airlie Beach!) e il finale con la Grande Barriera Corallina valevano la scomodità.

Fiat Marea 2006
Con Thomas, Kathrine e Ferdinand che all'epoca aveva un anno, io e il TdC abbiamo fatto un viaggio on the road nel sud della Francia: Costa Azzurra, Provenza e Camargue. I tedeschi con un bel furgone attrezzato (altro che Wicked), noi con un materasso gonfiabile nel retro della Fiat Marea. Dove possibile, abbiamo piantato la tenda o affittato un bungalow, ma fuori stagione non era facile trovare alloggi sul mare, così ci siamo adattati e, anche in questo caso, eravamo giovani e non sentivamo gli acciacchi la mattina dopo.

La stanza da 9 Euro 2017
Nel 2017 ero in viaggio da sola in Indonesia per tre mesi e dovevo risparmiare su tutto. Così a Bali ho affittato una stanza in un vicolo di Ubud per 9 Euro colazione inclusa, quindi non potevo aspettarmi troppo. Il mobilio era composto da due letti e un tavolino, fine. Non pretendevo un armadio, ma almeno un appendiabiti, comunque la camera, per quanto scassata e spoglia, era perfettamente pulita. Anche il bagno era, diciamo, spartano, con un po' di piastrelle rotte, però molto pulito. Il soffione della doccia spuntava dal muro, senza cabina né tenda, né piatto doccia a terra, quindi si allagava tutto; poi water e lavandino. Anche qui non si potevano né appendere asciugamani né c'era un mobiletto dove appoggiare saponetta e dentifricio. Come tappetino ho usato un asciugamano mio che l'ultimo giorno ho portato in lavanderia perché puzzava di cane bagnato. Ero lì per partecipare al Nyepi, praticamente il capodanno balinese, e siccome la notte di festa è seguita dal giorno del silenzio in cui non si esce per strada e tutte le attività sono sospese fino al tramonto, la proprietaria, donna dolcissima che non parlava una parola d'inglese, mi ha preparato la sera prima una schiscèta con riso e verdure perché anche i ristoranti sarebbero rimasti chiusi e, in ogni caso, non mi era permesso uscire per strada. Sono rimasta lì per qualche giorno, poi, per fare la signora, mi spostata da Kari dove, per 12 Euro al giorno, sono stata adottata dall'intera famiglia, tanto che mi hanno vestita con gli abiti tradizionali e portata con loro al tempio. Ma, come si dice, questa è un'altra storia.

In tanti anni di viaggi low budget, posso ritenermi fortunata di avere pochi brutti alloggi da elencare e, comunque, ci si sta solo per dormire perché l'avventura è fuori. A parte l'orrido sottoscala di Medan che resta il peggior ricordo in assoluto, gli altri erano scomodi, ma ci ripenso sorridendo.


domenica 4 febbraio 2024

Storie e guide

Amo leggere libri dei generi più disparati, dalla fantascienza alle biografie, dai classici dell'avventura ai romanzi d'orrore, dai libri per bambini ai saggi sull'archeologia, la storia moderna, le scoperte scientifiche e perfino la botanica, dai gialli al fantasy.
Non saprei dire, quindi, quale sia il mio libro preferito in assoluto, ne ho almeno uno per ogni genere, spesso più di uno, e poi ne scopro sempre di nuovi o vecchi che non avevo ancora letto. La lettura è un piacere che mi riempie di emozioni e pensieri quanto i miei viaggi, mi appaga quando non posso viaggiare, mi ispira e mi accompagna mentre viaggio.



E mi piace leggere dei viaggi altrui, specialmente se di altre epoche perché mi mostrano un mondo che non c'è più e che non potrò mai visitare se non con una macchina del tempo. Vivo nel fortunato periodo in cui si raggiunge il Messico in dodici ore volando anziché in quattro mesi di navigazione, ma ho anche l'impressione di perdermi così una parte importante del viaggiare. Le avventure degli esploratori includevano le lunghe traversate per nave o a piedi verso mete sconosciute, arrivarci era la sfida, tanto quanto scoprirle e visitarle. Spesso erano viaggi senza ritorno e questo rendeva quelle partenze delle vere e proprie scelte di vita. Mi sento ancora parte della spedizione di Scott raccontata dal sopravvissuto Apsley Cherry-Garrard in Il peggior viaggio del mondo che probabilmente è il mio libro di esplorazioni preferito. Restando in Antartide c'è la fantastica storia di Shackleton, sia nel suo diario, sia nella deliziosa versione di Caroline Alexander che in L'ultima spedizione di Mrs Chippy la racconta dal punto di vista del gatto di bordo: avventura e gatti, cosa potrei desiderare di più?
Non era solo lo spirito d'avventura a spingere i protagonisti di questi libri, c'erano interessi commerciali, scientifici, di prestigio nell'arrivare prima di qualcun altro, ma anche la curiosità verso altre culture come per Isabelle Eberhardt o Agatha Christie al seguito del marito archeologo, gli spassosi racconti di Bill Bryson che fanno da contraltare alle imprese eroiche o la lunga traversata da nord a sud nell'Africa delle colonie di Theresa Wallach per ribellarsi a chi le diceva che non era cosa da signore o Robert Fulton che per fare il figo davanti a una ragazza accetta la scommessa di fare il giro del mondo in moto totalmente impreparato. Tutte storie che trovate in questo blog sotto l'etichetta "libri in viaggio" e che mi hanno affascinata, ognuna a modo suo.



Faccenda a parte sono le guide, cadute in disuso con l'avvento degli smartphone. Io ho cominciato a viaggiare nell'epoca delle Lonely Planet che spesso pesavano più dello zaino e mi sono anche letta l'interessante biografia dei fondatori Tony e Maureen Wheeler. Per un certo periodo sono state utilissime, ma il loro grande successo ha portato a incanalare tutti i turisti negli stessi posti, lungo le stesse strade, negli stessi ristoranti. Sapete che io non amo la folla e non amo quel genere di turisti che viaggiano per appuntare bandierine sul mappamondo o si atteggiano a esploratori con i soldi di papà, quindi per evitare questa ggente (sì con due g) le ho abbandonate ancor prima che passassero di moda. Forse adesso sono considerate dei classici e comunque le ringrazio per avermi fatto sentire più sicura quando muovevo i primi passi in altri continenti. Di tutt'altro tipo sono le guide Polaris, incentrate su diversi aspetti dei luoghi che raccontano. A differenza delle guide tradizionali che ti dicevano dove dormire, dove mangiare, cosa visitare e come arrivarci, le Polaris descrivono cultura, storia e paesaggi in modo quasi poetico, mentre le leggi sei già là. Quella sulle Hawaii che ho letto prima di partire, per esempio, mi ha permesso di cogliere lo spirito delle isole e comprenderne meglio l'atmosfera e le abitudini una volta arrivata.

Quando entro in libreria, quello dei viaggi è il primo scaffale che cerco. Ecco, un viaggetto in libreria fa sempre bene e, per chi è della zona, la piccola e affascinante Elsa libreria creativa in via Carlo Rota 11 a Monza è il porto più grazioso in cui approdare.



 

lunedì 1 gennaio 2024

Propositi di viaggio 2024

 

Ogni volta che comincio un nuovo calendario, la prima cosa che faccio è programmare i giorni di ferie e fantasticare sui prossimi viaggi.

Il 2024 però sarà scarso da questo punto di vista perché ho intenzione di risparmiare per qualcosa di grosso nel 2025 che ho già in mente da tempo.
L'unica uscita dal continente sarà in aprile per festeggiare il mio compleanno al Way Kambas con i ragazzi di Alert perché me l'hanno fatto promettere quando ci siamo salutati e la moglie di Hari sta già studiando una ricetta vegana per la mia torta.
Per il resto dell'anno mi concederò al massimo qualche weekend, magari uno a Cattolica per tornare un po' bambina nella mia amata Romagna. Viaggerò con la fantasia a bordo di libri, National Geographic e documentari, sperando che nel frattempo il mondo resista a guerre, malattie e catastrofi climatiche. Insomma quest'anno si tira la cinghia più del solito, ma non importa se indosso sempre gli stessi vestiti, se faccio la spesa solo con i ticket, se guido un'auto così vecchia che è illegale farla circolare, se perdo i capelli perché non li curo mai dalla parrucchiera, se accendo il riscaldamento al minimo giusto per non far ammuffire i muri, se non vado al ristorante, al cinema o a teatro, se non ho l'ultimo modello di smartphone e una tv gigante, se mi depilo col rasoio anziché andare dall'estetista, se uso l'aceto del discount al posto dell'anticalcare di marca e ho anche un gattino da mantenere che mangia come un leone e mi rimborsa in fusa: ho un obiettivo che mi ripagherà del sacrificio. 
Aspettami, pianeta meraviglioso, sto arrivando! Piano, piano con i miei piedi storti, ma sto arrivando.

Buon anno a tutti i diversamente ricchi!


domenica 3 dicembre 2023

Rivelazione

 - Viaggiate sempre da sole?

Il silenzio che segue la mia domanda rimbomba come una cannonata. Questa volta è Marieke a intervenire, con un tono un po' allarmato.

- Viaggiamo insieme.

- Sì d'accordo, volevo dire...

Lieve mi interrompe di nuovo.

- Vuole dire senza un uomo. Diecimila donne che viaggiano insieme secondo lui sarebbero da sole.

- No, non volevo dire questo...

- E allora che cosa?

Ma sì, volevo dire proprio quello. Non avrei mai fatto la stessa domanda a due uomini che viaggiano insieme. Ma due donne che viaggiano insieme sono donne che viaggiano da sole.


Donne che viaggiano da sole, José Ovejero


Questo racconto, anche se non è tra i migliori del libro, contiene una verità spiazzante, nascosta in bella vista nella vita di ogni giorno, talmente banale da farmi vergognare di non essermene mai accorta. Probabilmente, anch'io avrò scritto da qualche parte in questo blog che io e le Cavallette viaggiavamo da sole pur essendo in tre, quattro e perfino in sei una volta. Significa che l'idea che una donna sia sola soltanto perché non ha un uomo accanto è radicata così profondamente nella nostra cultura che neanche le donne ci fanno più caso. E lo scopro in un libro scritto da un uomo che incontra donne più sveglie di me. Imbarazzante e preoccupante. Comunque, lezione imparata: devo stare attenta ai pregiudizi inconsci che mi inducono a utilizzare termini sbagliati. 

Il libro ha un titolo ingannevole, preso da questo singolo racconto, perché mi aspettavo storie di viaggiatrici solitarie in cui riconoscermi o da cui trarre ispirazione, mentre in realtà contiene una serie di racconti con protagonisti anche uomini, coppie, famiglie in vacanza o in viaggio per affari. Non parla di donne, ma di varie esperienze più o meno felici in luoghi lontani da casa. Non mi è piaciuto particolarmente, ad eccezione di un paio di racconti, ma ha il merito di avermi fatto notare un mio limite inconscio. Grazie, José, per questa rivelazione.